In una “terribile” e velocissima associazione di idee avvenuta poco fa, si è rinnovata in me la convinzione di non voler mai più, nella vita, condividere i miei spazi – a lungo termine – con qualcuno che non porti il mio stesso nome e il mio aspetto.

Mi guardavo allo specchio, pensavo che dovrei sistemare un po’ le sopracciglia e che, in questa casa in cui gli spazi sono parecchio ristretti e ogni ambiente è condiviso, fin troppo, con tutti gli altri io ci sto un po’ strettina rispetto a come ero abituata anni fa, nella casetta al mare in cui ho vissuto per i primi vent’anni della mia vita.

Lì avevo un intero piano – la mansarda – adibito a mio uso e consumo: camera da letto, bagno personale e stanzino/studio più una verandina comodissima e riparata il tanto giusto.

Ho imparato a vivere da sola, lì.

Mi sono sentita sola per anni, costretta a non condividere gli spazi, le mie riflessioni e i miei momenti bui con nessuno… e invece ho finito per imparato ad amare tutte le libertà che poteva concedermi una situazione come quella.

Se ripenso a quei tempi, ho in mente i miei pomeriggi passati a scrivere poesie, o a comporre gli articoli per i miei giornalini di musica e spettacolo, i primi siti web che progettavo… o il periodo della stregoneria, con la collezione di libri a tema (che vendetti qualche tempo fa, accidenti a me!!), un angolo con tutte le spezie e il fornellino per fare le pozioni (nessun commento, please… sono confessioni un po’ vergognose, le mie, lo capisco da sola :-P ) e il libro delle ombre auto-prodotto.

Nella mia verandina dei sogni ho spesso passato i pomeriggi caldi di primavera sotto il sole, al riparo da occhiate indiscrete, con un libro, un giornale, un cuscino e basta… in cambio di un invidiabile e prematura abbronzatura già dai primi giorni di marzo, quando il tempo lo concedeva!

Avevo la possibilità di scegliere i tempi migliori per fare ogni cosa, senza che le mie decisioni fossero ostacolate da qualcuno, o dalla necessità di spazio di altri.

Il corridoio delle possibilità più si va avanti e più si assottiglia.

E’ complicato rendere davvero l’idea, concretamente. Pare che sia “giusto”, ad un certo punto, rinunciare al proprio spazio per concederne un po’ agli altri, e perdere man mano un pezzo di noi stessi. Non so se sono io troppo attaccata alle mie libertà oppure ho ragione a pensare che non dobbiamo mai perdere di vista ogni piccola cosa che ci rende vivi e attivi, e partecipi alla vita delle persone che, attorno a noi, ci stimolano.

E’ fin troppo radicata l’idea che, ad un certo punto della propria vita, sia giusto fare coppia con qualcuno, condividere spazi e tempo, formare una famiglia e dare alla luce dei figli.

Non ci si rende mai conto in tempo quando tale percorso è compiuto perché davvero voluto o perché ci siamo fatti abbindolare dalla ricerca di una dimensione più facilmente concepibile ai nostri occhi, per le nostre abitudine e l’educazione ricevuta.

Non esisterebbero legami non voluti, oppure prima desiderati e poi cancellati, relazioni in cui non c’è più distinzione tra i due individui…

Ho imparato a mettere in chiaro quali siano le mie idee di partenza e, proprio durante un confronto con una persona con cui si affrontava l’argomento, ho scoperto di preferire una vita in cui vivo da sola, costruisco il mio impero, il mio regno, i miei angolini, i miei altari, e chiunque si avvicini a me, occupi questi spazi il tempo dovuto per migliorare il mio e il suo umore… senza creare un abitudine che invada l’equilibrio di base che, se anche accoglie un ospite temporaneo, perderebbe il suo significato se tale presenza prolungasse la sua permanenza.

Sentirmi in colpa perché mi piace la vicinanza delle persone ma non ne accetto anche i difetti da subire costantemente?

No, ormai ho smesso.

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