Il viso dolce qui accanto è quello di Carrie White, nella versione cinematografica – firmata da Brian de Palma – della conosciutissima e agghiacciante storia scritta da Stephen King, chiamata appunto Carrie e diventata, nella versione per i cinema italiani, Carrie – Lo sguardo di Satana.

Ho acquistato il libro il mese scorso, durante una delle mie infinite scorribande su Amazon in cerca di titoli favolosi a buon prezzo (e ammetto di aver fatto dei gran begli affari, soprattutto nell’ambito King: mi sono procurata parte integrante della sua bibliografia più conosciuta e non ho speso un’infinità!).

Ho iniziato a leggere le sue 166 pagine qualche giorno fa, in sordina, senza rendermi conto… e la scena di apertura, nella sala docce del liceo di Chamberlaine, così forte e angosciante, mi ha conquistata all’istante e mi ha legata con un filo prepotente alla storia, tanto che – anche complice la brevità del romanzo – ho finito la lettura ieri notte.

Un branco di adolescenti stronze e una timida e impacciata alunna delle superiori, loro compagna di scuola.

Ecco a voi il branco: un sacco di piccoli e insulsi moscerini senza individualità e una vittima scelta perché impopolare, poco grintosa – a primo occhio – e con l’insicurezza coltivata sin dall’infanzia.

Carrie scopre l’esistenza delle mestruazioni quando, dopo la lezione di ginnastica a scuola, sopraggiunge il primo flusso della sua vita mentre è sotto la doccia, circondata dalle vispe e sviluppate compagne.

Senza comprendere il senso di quel sanguinamento, viene derisa da tutte e sommersa da un lancio di tamponi, tra le risate generali e l’arrivo della professoressa di educazione fisica che mette fine alla scena penosa, non senza aver dovuto usare le maniere forti con tutte, Carrie compresa.

Carrie non ha la naturalezza per affrontare la vita di tutti i giorni con coraggio e apertura, colpa anche di una madre bigotta e proibizionista, che l’ha cresciuta a furia di punizioni e rimbrotti, che l’hanno resa incerta di ogni passo da compiere, sempre in attesa di un probabile rimprovero o l’umiliazione di essersi spinta oltre i limiti concessi, oltre i quali la severa punizione sarebbe stata l’inferno.

In un contesto come questo, la giovane White tende a vivere un’esistenza all’ombra, convinta di essere sempre in errore e con la paura di osare troppo, rendersi desiderabile ed esposta ai piaceri della carne, cosa che l’avrebbe fatta finire sotto le ire di sua madre, e di conseguenza dentro lo sgabuzzino in cui avrebbe dovuto chiedere perdono e pentirsi di essere stata troppo sconsiderata.

L’episodio delle docce, nel suo essere diventato di dominio pubblico, scuote il sistema scolastico tanto da portare il preside del liceo a richiedere una pesante punizione per alcune alunne, responsabili di diversi scherzi di cattivo gusto ai danni di Carrie, inflittile nel tempo.

A Chris, una delle più indisponenti alunne della scuola, viene proibita la partecipazione al ballo, mentre Sue, anche lei partecipante attiva dello scherzo delle doccie, inizia a sentire sensi di colpa nei confronti della compagna di scuola e le due, in occasione del ballo di primavera che si sta organizzando a scuola come ogni anno, prendono la loro posizione: Chris è costretta a non parteciparvi, per punizione, mentre Sue invita il suo ragazzo a chiedere a Carrie di partecipare con lui, mentre lei non presenzia.

La serata del ballo, il momento dell’invito e la preparazione all’evento sono, per Carrie, l’unico momento apparentemente umano della sua giovane e strana vita: assume una sicurezza nuova, assapora il gusto della vicinanza delle persone e la sensazione di far parte di un gruppo, riceve complimenti per l’abito che lei stessa si è cucita e, quella sera, riceve persino complimenti perché è bella.

Non è più bella del solito, ma si sente meglio, è serena e sorride. Tanto basta per farla apprezzare da tutti, tanto basta perché il suo cavaliere sia sinceramente cortese con lei.

Carrie è incredula a ragione, si aspetta che da un momento all’altro possa diventare di nuovo oggetto di scherno per tutti, ma fa in tempo a prendere confidenza con la situazione, fin troppo bella da vivere, e nel momento in cui tutto prende una svolta, la rabbia che sgorga è indicibile, incommensurabile.

Non conta il fatto che il suo momento di gloria sia durato poco, contro una vita di tristezza alla quale ritornare non sarebbe stato un grande trauma. Conta il fatto che la sensazione provata le abbia dato la certezza che vivere sereni sia possibile, normale, ovvio e lo meriti lei più di chiunque altro.

Chiunque sia abituato a vivere nella fogna, se per un giorno riesce ad emergere oltre il tombino, non potrà mai più rassegnarsi all’idea che vivere nella puzza sia normale. Ha scoperto il profumo, ha capito che esiste anche l’odore e non solo il tanfo. L’avere vissuto qualcosa di meglio, anche per un secondo, lo porterà a voler ripetere quel singolo momento per tutta la vita, perché – visto quanti altri hanno come normalità quello stesso contesto – riterrà di meritarselo a sua volta.

Carrie è sempre stata impopolare e, nel frattempo, ha anche scoperto di possedere poteri telecinetici.

Sua madre la vede – per questo e anche perché l’ha concepita con un atto carnale nel quale si è riconosciuta troppo appagata e vogliosa non di sentire amore ma di provare piacere e passione – come progenie di Satana, figlia del demonio, del peccato ed è conscia che sia dotata di poteri oscuri e sconosciuti.

Il fatto che sia scritto da King e che sia un horror tinge questo romanzo rosso sangue, e non solo per l’epilogo finale in cui quella stronzetta di Chris con il suo portaborse leccaciuffa di Billie fanno precipitare sulla coppia reale del ballo due secchiate di sangue di maiale, ma perché anche se Carrie ha tutte le ragioni del mondo per farsi girare le palle per l’ennesima volta, scopriamo che la sua reazione è carica di rabbia ma anche di una spinta naturale, data dall’effettiva natura bestiale della ragazza.

La rabbia per i soprusi subiti nel tempo è solo il motivo che tutti vogliamo credere abbia Carrie, in realtà lei ha, dentro di sé, della cattiveria sopita che fa parte della sua natura e che, nel momento in cui viene stimolata a reagire e agire, scaglia contro chiunque, compresi sconosciuti che non si sono mai accaniti contro di lei.

Credibile e assolutamente reale, affascinante come caratteristica.

Avere un motivo per scagliare tutto per aria, a volte, è liberatorio. E’ bello. A volte desideriamo solo un piccolo motivo per poterci disfare di quella cattiveria di cui siamo tutti dotati, chi in piccole e chi in grandi dosi.

La verità è che il male fa parte di ognuno di noi esattamente come ne fa parte l’acqua, la carne e qualsiasi altra sostanza concreta e tangibile che abbiamo dentro.

Carrie può scatenare l’inferno e, messa alla berlina davanti alla scuola per l’ennesima volta, evita di porsi il problema di nascondere i suoi poteri ricevuti in dono da chissà quale direzione oscura dell’universo.

Carrie infligge la morte, è spietata e vendicativa, è anche maligna. Più di tutti coloro che hanno sempre riso di lei. Più di loro perché essere cattivi in gruppo significa essere piccoli in ogni senso. Più di loro perché essere sterminatori, da soli, significa avere dentro un diavolo che brucia.

Ma fin dove si può arrivare per vendicarsi di un branco che si accanisce sempre nella stessa direzione?

Sputo queste idee senza fermarmi un attimo e scrivo una recensione sconclusionata – tipico di me – perché un amico mi chiede un parere su Carrie, dopo che ho detto che ho appena finito di leggerlo.

Ecco cosa dico a lui, come un fiume in piena…

Io, per carattere, non finisco a lungo sotto le mire di un branco e non sono nemmeno di quelle che, per sentirsi forte, si infila in un gruppetto per fare parte di un pesce grosso

mi schiero con chi è tartassato e vado da ogni singolo membro del branco per farli sentire tutti ridicoli e piccoli

guardo il “colpito” per capire dove io possa puntare per tirare fuori quelle doti di forza che ognuno ha
normalmente la vittima di un branco è sempre quella che mostra palesemente una certa morbidezza in determinati contesti. ma non si tratta di deboli in toto, per quello

io voto il mio tempo a cercare il punto da cui estrarre la forza di ognuno e la faccio una ragione di vita

Mi aggrappo a queste dichiarazioni aggiungendo che lo faccio sin da piccola, quando un trio di compagni con i quali andavo d’accordo prendevano a calci lo zaino di un compagno che andava in giro sempre un po’ sdrucito e vagamente disordinato e sporco.

Mi ci mettevo in mezzo, tra quello zaino e i loro calci. Mi adoravano, quei tre coglioncelli, e quindi rovinavo il loro gioco: non potevano prendere a calci anche me, secondo loro. E quindi coglievo l’occasione per incazzarmi e distrarli: giocavo con loro a soffio con le figurine di calcio, collezionavo anche io i POG e mi infilavo nelle partite di calcio nel campetto fuori da scuola.

Poteva essere mio fratello, quello lì. Potevo farmi anche i cazzi miei, certo. Ma con quale coraggio vedere tutto e fare finta di nulla?

Ancora oggi mi capita di vedere gruppetti che, tutti stretti vorrebbero assomigliare all’oceano ma, presi separati, sono solo il getto d’acqua di un bidet.

E io, con questi merda, continuo a giocare perché non sentano la voglia di prendere a calci me e, allo stesso tempo, mi ascoltino mentre li ridicolizzo mettendoli davanti ad uno specchio per mostrare loro quanto siano puzzolenti, lerci, sporchi e insulsi.

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