Mi sono appassionata a Spotify.
Sono diventata dipendente dai podcast, letteralmente.

Avevo iniziato con Veleno di Pablo Trincia, qualche anno fa, però non capii subito la potenza del mezzo.
Ad ogni modo, dallo scorso febbraio – tra prodotti dedicati alla crescita personale e finanziaria, narrazione di fatti di cronaca, campagne di giochi di ruolo e cold cases – non c’è stata giornata in cui non abbia passato almeno un’ora con le cuffie nelle orecchie, ascoltando la puntata di un podcast tra i miei preferiti.

Sarà un post dedicato ai miei cinque podcast del cuore o conservo l’intenzione che avevo quando ho scelto il titolo (e relativa copertina) decidendomi finalmente a ragionare sulla riflessione fatta il giorno che ho partecipato al Pride a Bologna?

C’è, in effetti, un collegamento tra le due cose e, ovviamente, la mia intenzione iniziale era proprio quella di scrivere – dopo diversi giorni – l’impatto che ha avuto su di me la partecipazione al Pride il 25 giugno.

Ritorno per un secondo – e poi basta, giuro (forse) – sulla questione podcast: Martina e Federica, autrici di Bouquet of Madness, hanno deciso di inserire un trigger warning all’inizio di ogni episodio per evitare di turbare la sensibilità dei loro spettatori e prepararli ai temi che saranno affrontati.
L’ho trovato estremamente rispettoso e importante.

Non ho colpe se parlo di qualcosa che ti provoca una sensazione di disagio ma posso prendermi la responsabilità di far sì che ti prepari ad affrontare quel momento

Colpa e responsabilità sono due parole spesso usate a sproposito, sostituendole come fossero sinonimi.
Spoiler: non è così.

Ho sempre sentito al responsabilità – e la conseguente colpa – dell’impatto che le mie azioni potessero avere sugli altri.
E’ un processo mentale comune a tutti: riguarda l’empatia e anche l’egoismo, l’onore, il rispetto, l’autostima e la riprova sociale.
Ci sono persone che dicono di “fregarsene” di ciò che pensa la gente, forse perché stufe di sentirsi in gabbia, private della libertà, che però odierebbero definirsi – per questo – prive di empatia.
Poi ci sono quelle costantemente preoccupate di “ciò che penserà la gente” vedendole comportarsi in maniera inusuale, tanto da condizionare le proprie scelte in base a ciò che la comunità approverebbe o meno.

Ho sempre creduto di avere la residenza sulla mattonella dei menefrego, tuttavia il 25 giugno ho passato una mezzora abbondante combattuta tra la decisione di camminare scalza per le strade di Bologna o continuare a indossare delle scarpe scomode che nel giro di pochissimo mi hanno letteralmente distrutto i piedi.

Per essere precisa, l’indecisione è durata per tutto il tempo iniziale della mia partecipazione alla parata.
Arrivavo con la mia solita mentalità, non mi ero ancora infilata davvero nel mood.

Ho passeggiato tra persone che con forza, allegria, libertà e coraggio ricordano ogni anno al mondo che sono orgogliose di essere, volere, amare e desiderare ciò che sono/vogliono/amano/desiderano non preoccupandosi affatto del fastidio che potrebbero provare gli altri.

Sopraffatta dal dolore ai piedi, poco dopo, ho deciso di rientrare a casa e salutato la compagnia.
Le macchine dell’Hera avevano seguito il corteo tutto il tempo e liberato la strada da cocci e rifiuti.
Totalmente influenzata dall’onda di libertà in cui mi ero immersa, ho tolto le scarpe e sono andata indietro nel tempo quando, da bambina, in giardino – tra sassi, aghi di pino, pietroline taglienti e cemento – passavo ore e ore scalza, totalmente a mio agio.

Colpo di scena: nessuno mi ha osservata, nessuno si è stranito, nessuno ha obiettato.

Influenzata da una fantomatica reazione, stavo per evitare un’azione importante per me.
Ho riflettuto poi sul fatto che Bologna non abbia quasi mai reazioni sconvolte davanti a stranezze e libertà, e ho scelto di vivere qui anche per questo motivo.

Il giorno dopo ho pensato di scrivere un post su Instagram sull’argomento ma l’idea che mi girava per la testa era simile a “visto che nel corteo la gente ha sfilato mezza nuda, io mi sono sentita libera di passeggiare senza scarpe” e mi sembrava una conclusione completamente inesatta, scorretta e discriminatoria, nonché del tutto lontana dalla realtà

Dovevo ancora capire perché la decisione di camminare scalza per Bologna fosse stata così importante e illuminante per me.
Una chiacchierata di alcuni giorni fa mi ha aiutato a unire i vari puntini.

Podcast. Sarà davvero l’ultima volta che ritorno sul tema.

Oggi ho iniziato ad ascoltare un nuovo podcast e, nel giro di una mattinata, ho sentito sei puntate.
Le prime quattro, scanzonate e casuali, nelle ultime due è tornato a galla un disclaimer già sentito altrove: “Attenzione: in questo episodio parleremo di…”

Cazzo, ho capito!

Quel che mi spaventava del camminare per strada non erano le malattie e le infezioni che mi avrebbero potuto colpire ma il fatto che probabilmente avrei potuto urtare la sensibilità di qualcuno che non rischierebbe mai la propria salute (o semplicemente la morbidezza della pelle dei piedi) allo stesso modo.

Mi è balzato al naso il concetto del trigger warning e finalmente ho identificato quella strana sensazione che avevo e che mi ha messo in allerta per tutto il rientro a casa scalza.

Quante volte ci impediamo qualcosa in nome del fatto che non vogliamo urtare la sensibilità altrui, pur non commettendo di fatto alcun crimine?
Perché ho sentito di volermi ribellare a tutto questo proprio dopo aver partecipato al Pride?

Non mi sono decisa a camminare scalza solo perché fino a cinque minuti prima passeggiavo in mezzo a persone con lo scotch sui capezzoli e, a paragone, io ero decisamente molto meno appariscente!
Esiste un girone dell’inferno anche per i benatristi, attenzione!

Ho camminato scalza perché avevo appena ricevuto un importantissimo esempio da persone che, dopo anni che si sono nascoste e vergognate di essere se stesse – nonostante non facessero male a nessuno – hanno capito che il disagio degli altri non fosse loro responsabilità e che dovevano assolutamente smettere di mascherarsi solo per non urtare la sensibilità eccessiva di un mondo che aveva scelto, senza motivo, di non accettarli

Grazie Pride!
E’ certamente giusto prendersi le proprie responsabilità ma ci sono situazioni nelle quali il senso comune non può né deve condizionare con piccoli e subdoli passi gli altri ad incasellarsi in una conformità dolorosa, comprimente e antiquata.

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