Era il 1987.

Ero appena nata e stava per nascere anche un film che, anni dopo, mi capitò di vedere.

Mi rimase impresso nonostante gli effetti speciali scadenti, ero bambina e la scena in cui l’agente Murphy – ingenuo e forestiero – si addentra nella fabbrica abbandonata con la compagna in servizio mi è sempre rimasta impressa.

La sua morte, soprattutto. La sua uccisione.

Una di quelle scene che fanno della crudeltà il loro distintivo: c’è l’agente e c’è l’uomo, poi arriva il branco – sempre il branco – e il poliziotto, con giubba antiproiettile e pistola, è in minoranza.

Muore, ma non per caso o per errore. Muore perché chi lo attacca è un branco di squali capeggiati da un criminale che scopriremo essere il braccio destro di uno dei vertici della multinazionale che sta progettando di radere al suolo la città per costruirne una nuova.

Siamo sempre alle solite: c’è un qualcuno che ha un’idea – normalmente legata all’obbiettivo di egemonia – e siccome non è capace di convincere chi dovrebbe sostenerlo – finanziatori e/o popolo – perché il suo colpo di genio sia ritenuto tale deve far sì che la sua idea sia la risposta ad un problema. Tale problema, di fatto non esiste, ma questo non ferma il suddetto ambizioso. Basta crearlo, quel problema, e la sua soluzione sarà proprio quella di sua creazione.

Nella storia, esiste un ammazza-poliziotti (Buffy Clarence!) perché c’è uno degli alti dirigenti di una multinazionale (Jones) che vorrebbe imporre il sistema di sorveglianza da lui inventato – una macchina chiamata ED209 – che sostituirebbe i poliziotti in carne ed ossa al controllo del crimine di Detroit.

La prevedibile diffidenza nei confronti di un progetto del genere – legata anche all’eterno dilemma riguardante le macchine che sostituiranno gli esseri umani nel mondo del lavoro, facendo sì che la disoccupazione diventi lo stato sociale di tutti – non può essere fronteggiata se non creando un falso problema che possa essere risolto unicamente da un macchinario non umano.

La figura di Clarence – che apparentemente è uno che si accanisce contro i poliziotti per partito preso – ci appare chiara quando scopriamo il suo accordo con Jones.

Jones è il vicepresidente della OCP, che vorrebbe trasformare Detroit in Delta City e che inizia la corsa prendendo il completo controllo del dipartimento di polizia del posto.

Jones ha un accordo con Clarence riguardante traffici di droga e inoltre è incaricato da lui di mettere a rischio in ogni modo la vita dei poliziotti, in modo che l’unica soluzione possibile per fermare il criminale sia togliergli il materiale primario per agire: sostituire tutti i poliziotti umani con delle macchine invulnerabili.

Un disguido tecnico durante la presentazione di ED209 permette a Morton – vicepresidente del settore di sicurezza – di subentrare all’attenzione di tutti con la sua idea del cyborg Robocop.

La differenza tra ED209 e Robocop è tanto sottile quanto fondamentale: Robocop, in quanto cyborg, è progettato per avere parti sia meccaniche sia umane, mentre ED209 è un arma di distruzione di massa, è completamente composto da parti meccaniche e, nel suo concetto di base, risulta essere molto più violento e dannoso di Robocop.

La disputa tra Jones e Morton si fa accesa per via del fatto che quest’ultimo scavalca senza previsioni Jones e il suo progetto, cosa che mette in subbuglio anche tutta una serie di altre dinamiche, sempre gestite da Jones.

Robocop viene fabbricato subito dopo la morte di Murphy, ammazzato barbaramente da Clarence e la sua cricca, con i resti corporei recuperabili dello sfortunato poliziotto e, nonostante fosse prevista la cancellazione della sua precedente memoria, soppiantata dal programma che avrebbe “mosso” Murphy/Robocop nella sua seconda esistenza, alcuni ricordi della morte iniziano a riaffiorare con il tempo.

L’immagine peggiore che un uomo possa rivedere davanti ai sui occhi è quella della sua morte, soprattutto se questa è sopraggiunta in modo tanto crudele e cruenta.

I volti, tutti i volti dei suoi uccisori, spietati e ridanciani, sono impressi nella mente di Robocop.

E non ci sono dinamiche del film che tengano, o frasi ad effetto che possano avere più importanza del resto…

Robocop è grandioso per la vendetta.

E’ un robot ma è così umano quando manda a cagare ordini, disciplina e superiori perché ha capito da dove proviene, di cosa è frutto.

Robocop è grandioso anche perché racconta la pena e, in un commovente coro di dignità, la malinconia che si cela dietro un complotto malvagio e tanto radicato. Conosciamo Murphy prima della sua morte ed è semplicemente un poliziotto trasferito da un settore tranquillo della città ad un altro, in cui la situazione criminale è paragonabile al far west.

Murphy viene seguito e guardato in faccia dai suoi futuri assassini, è fucilato e mutilato a bruciapelo, senza la minima pietà neanche davanti ai quegli occhi sgranati per lo sgomento e il dolore che non fa in tempo a tradursi in urla.

La sequenza più commovente è quella in cui – ormai diventato Robocop – casualmente, si imbatte in uno dei suoi uccisori alla pompa di benzina

e si riconoscono a vicenda dopo il famoso “Vivo o morto, tu verrai con me”.

L’identificazione del criminale dà il via ai ricordi, Robocop irrompe nel reparto di polizia in cui si trovano registrati tutti i database delle persone schedate per aver commesso dei crimini.

Non ci sono espressioni sul suo volto, non ci sono sentimenti, non c’è vendetta vera. E fa pena, perché in quella totale mancanza di reazione c’è il resto di un essere umano che sta prendendo confidenza con dei ricordi dolorosi e brutali.

Man mano che spulcia nel database, scopre tutti i volti dei suoi aguzzini, arriva a guardare la foto del capo della banda, Clarence, e sarà proprio da lui che andrà per vendicarsi al meglio, salvo poi fermarsi perché egli rivela la lercia verità riguardante Jones, dichiarandosi suo “dipendente”.

A capo di ogni organizzazione che merita tanta attenzione sulle patinate copertine c’è sempre qualcuno che è sceso a patti con un criminale.

Questa è l’ennesima storia che ci racconta realtà e dietrologie di movimenti che, ieri come oggi, il piccolo popolo stenta ad identificare nel profondo.

Fa sorridere quanto si prendessero sul serio negli anni ’80, quando prevedevano che entrare nel fantomatico duemila sarebbe significato avere macchine volanti tra i piedi, filo diretto con lo spazio ed extraterrestri come vicini di casa.

Ma i temi sono sempre gli stessi e le riflessioni che suscita una storia del passato sono le stesse che ne susciterebbe una attuale.

Il branco, nello specifico, ultimamente è un tema che mi sta facendo prendere fuoco un po’ troppo spesso.

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