Credo di aver parlato diverse volte del mio burnout lavorativo e della rivoluzione data alla mia vita nel bel mezzo del 2020.
Il termine di quel terribile periodo coincide con la decisione di prendere un volo di sola andata per Bologna.
Mi aspettavano: una soluzione abitativa d’appoggio sicura ma temporanea e un paio di contatti lavorativi per iniziare.

Uno di questi contatti, nel tempo, si è consolidato passando da prestazione occasionale a rapporto continuativo; è proprio in questo contesto che ho potuto esplorare un universo fino ad allora sconosciuto.
Una forma di lavoro meno austera delle precedenti e comunque super organizzata e funzionante.

In primis, perché ho bisogno di specificare “meno austera, ma comunque funzionante”?

Perché quel che mi ha fatto accettare le storture del passato è stata la convinzione – un po’ autoindotta, un po’ imposta – che non ci sia rigore e ordine se a gestire la carovana non ci sia qualcuno dal piglio assolutistico, dittatoriale, serio e distaccato.
Non potevo certo avere dimostrazione del contrario e per evitare scapocciate “me la sono bevuta”.
Ora, a bocce ferme, posso dire che è un bellissimo primo punto da evidenziare: il miglior “capo” non è quello che, anche a costo di usare le brutte maniere, riesce a farti fare ciò che vuole lui.

Il migliore capo è colui che sa instillarti la volontà di fare ciò che sa essere necessario per il funzionamento dei meccanismi che coinvolgono tutti.

Un leader, molto banalmente, e mi rendo conto di non avere avuto occasione di incontrarne tanti fino a che non sono approdata qui.
Ci sarebbe da aprire un grande dibattito già per questo.
La mentalità imprenditoriale nelle Isole non è ancora riuscita a scollegarsi dal vecchio ideale titolare=scorbutico=ok oppure è stata sfortuna aver incontrato solo casi limite?
Chi lo sa.
Quel che noto è che “qui”, essere capaci di farsi seguire è il trend, non l’eccezione.

Non parlo di un ambiente di lavoro in cui i rimproveri sono sostituiti da pacche sulle spalle o da finti sorrisi che garantiscono il quieto vivere ovviamente.

Anzi, quel che mi colpisce tanto è la marcata presenza di figure di riferimento che son disposte a delegare importanti compiti e responsabilità a persone di cui studiano attitudini, capacità e difetti, e identificano esattamente il modo in cui impiegarle e i task che sapranno svolgere al meglio.
Il risultato è che, avendo trovato il giusto incastro tra chi e cosa fargli fare, ognuno si sente utile, autonomo, responsabile e anche soddisfatto dei conseguenti buoni risultati.

Ho dovuto aspettare per capire questo affascinante fenomeno: ho iniziato in una posizione diversa da quella attuale e mi sentivo terribilmente inadatta, sono spesso stata ripresa per numerosi errori, esortata a controllare meglio e stare più attenta.

La pandemia ha imposto uno stop e anche il mio lavoro si è fermato, quando sono stata reintegrata ho ricevuto la proposta di cambiare ambito, responsabilità e mansioni.
Sono stata affiancata della persona uscente e scoperto di potercela fare.
Ho il mio angolino, la mia sfera di controllo, la possibilità di organizzarla nel modo migliore a patto di far quadrare tutto, come richiesto.

Quella posizione è la migliore per me e qualcuno ci ha voluto scommettere e credere nonostante i precedenti non tanto incoraggianti.
Mi chiedo ancora come abbia fatto a prevedere una simil riuscita.

Se non si è performanti in un ambito non è detto che non ce ne sia un altro in cui potremmo sorprendentemente brillare.

L’amicizia tra colleghi è un altro tema molto caldo.
In virtù del detto “dividi et impera”, diversi datori di lavoro del passato incidevano su “la tua collega mi hai riferito che hai detto/fatto” per evitare che ci fidassimo troppo gli uni degli altri, partendo dal presupposto che il rischio di un esplosione dall’interno fosse sempre alle porte.

Questa volontà di creare discordia tra le persone mi è sempre parsa un’auto-denuncia, tipo “so che mi odiate tutti e, se diventaste amici, lo scoprireste anche voi. Meglio di no”.

Io ho sempre prediletto i buoni rapporti con i colleghi piuttosto che con persone che miravano a mettere veleno ma quando a instillare zizzania è la figura di potere non è possibile superare certi ostacoli perché la moneta di scambio è particolarmente alta.

In una delle ultime riunioni in cui l’ordine del giorno è stata una “perdita di quota” che necessitava un rispolvero delle “istruzioni di volo”, è stata utilizzata l’immagine della famiglia.

Nessuno di questi appunti viene fatto per colpire il vostro orgoglio, non sentitevi colpiti personalmente, perché sono errori che non vi rappresentano personalmente.
Mi fido di voi, ho bisogno di poter continuare a farlo.
Immagino che facciamo tutti parte di una famiglia, se non vedessi così il nostro gruppo dovrei smettere di lavorare domani.

Il risultato è che anche noi, spinti dallo stesso mantra, ci incoraggiamo a vicenda a fare bene, non ci ostacoliamo e non abbiamo bisogno di rubarci il passo per apparire migliori dell’altro.

Riportare gli errori altrui non è una moneta di valore, piuttosto veniamo incoraggiati ad auto-denunciarci subito per riparare insieme i problemi sorti, allo scopo di non amplificarli tentando soluzioni autonome che potrebbero complicare ulteriormente le cose.

Il risultato è che ho avuto modo di scoprire dei grandi alleati, conoscere serenamente persone che hanno dimostrato di avere velleità simili alle mie e costruire progetti insieme a loro.

Chissà per quanto tempo calcherò questa strada, il lavoro a tempo determinato prevede il non fare piani troppo estesi sul futuro, e questo concede aria.
E’ un’aria che mi fa immaginare i cambiamenti non come una rottura ma come potenziali evoluzioni dopo la fine inevitabile di questo sentiero.

In tema di amicizia, senso del gruppo, unione e leadership, chiudo il post con questo video tratto dall’episodio musical di Buffy: Once More with Feeling ❤️

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