Sono giorni che ho in mente qualche argomento da trattare qui.Anche se sembra ieri, è quasi un mese che ho iniziato a lavorare e tutto è iniziato a girare.Non sempre nel verso giusto, ci sono prove sempre nuove, ostacoli e scherzi della vita che, più che ironici, definirei sarcastici. Ma vabbe’…Indipendentemente dalla piega che prende il tutto, è bello sentire l’aria che ci scorre addosso.C’è chi ama l’estrema velocità e io di quella ho paura. Ma riconosco il piacere del movimento, capisco quale sia la sensazione alla base, quella sensazione di sentirsi vivi, attivi e capaci – in qualsiasi momento – di poter superare in potenza qualsiasi altro essere.Lavorare, realizzarsi professionalmente, anche se non nel campo in cui si riversa tutto il proprio interesse, serve a tutte le persone per scoprire se stesse, per crescere e conoscere.Come andare a scuola. Se da adulti ci si guarda dietro, si scoprirà che non è importante che instituto si sia frequentato e quali materie si siano studiate (a meno che poi quelle non siano diventate la base primaria del lavoro che si sta facendo e, quindi, si sono rivelate indispensabili), il succo degli anni passati con altre persone, a combattere quotidianamente in un piccolo specchio di società, è che si è appreso qualcosa di altre persone e si è deciso come agire e reagire, come imporsi e quanto esporsi. Come superare problemi e limiti personali.Si sono instaurati rapporti umani con persone “colleghe” e con persone di responsabilità e grado maggiore, si sono stabilite vicinanze e distanze. Si è appresa un infarinatura della vita.Lavorare permette di riprendere il filo con il discorso iniziato con la scuola.Insieme alle insicurezze che hanno caratterizzato i primi giorni di lavoro, sono giunte anche delle gratifiche, specialmente negli ultimi giorni.Dopo aver combattuto nell’adolescenza per conquistare la mia indipendenza, in seguito alla scelta che ho fatto, mi sono riportata a quella situazione dove non potevo muovere mani e piedi come volevo io e che odiavo tanto. All’inizio non è stato piacevole.Io compro tutto con le parole e, qui, nemmeno quelle potevano darmi una mano finché non sapevo metterne insieme due in croce.Non che adesso riesca a snocciolare un discorso fatto e finito, ma quel che mi serve me lo prendo.Sto imparando a furia di sbattere il naso con persone che, non sapendo che sono italiana e che non capisco una cippa di tedesco, mi guardano storto dall’altra parte della vetrina chiedendosi perché non capisco che quando mi dicono “zwei löffel” vorrebbero semplicemente avere un altro cucchiaino…
Mi ci sono messa, in questa situazione, e adesso me le prendo tutte :D
Tanto sapevo che ad un certo punto qualcosa sarebbe cambiato e avrei iniziato ad avere più dimestichezza con tutto: l’ambiente, le persone, la lingua…
Se penso che all’inizio mi agitava chiedere alla ragazza dello Spielecenter (oddio, non ricordo se si chiama così o la terminazione è diversa… comunque, la tipica sala giochi Tettesca) un posacenere (Aschenbecher, da leggere come Ascenbèscia) per Fidanzato che, capito il mio imbarazzo nel masticare una lingua così strana, mi spronava a fare i primi passi anche per ridersela un po’ … ehh, mi sento sollevata adesso.
Da qui alla conquista del mondo ci vuole davvero poco ancora :D
Comunque, a me piace diventare pratica di qualcosa. Odio stare a zonzo provando qui e lì. La mia forza sta nel comprendere come vanno le cose, quali sono i binari, e prendere quella strada imparandola meglio di chi mi ha insegnato a percorrerla. Sono abitudinaria e schematica e questo mi aiuta.
Iniziare a vedere i primi frutti della cosa, mi soddisfa e mi rafforza sempre di più. 

Qualche giorno fa, ero alla stazione mentre aspettavo il treno per andare a lavoro, e mi si affianca una bimba bionda con uno zaino rosa. Guardavo in direzione del tabellone che avvisava di un ritardo e questa bambina ha iniziato a parlare.
Convinta che ho scritto in faccia “Non parlarmi, tanto non ti capisco, sono italiana!” pensavo la piccola sapesse che non c’era trippa per gatti, quindi l’ho ignorata credendo non stesse parlando con me.
Invece no. Da lontana che era, quella vocina l’ho ascoltata meglio e mi chiedeva “Tu sei quella che vende XXX“.
Io: “Vendo XXX?”
Bambina: “Sì, nell’XXX”.
Io: “Ahh, Ja!”.

Oddio, iniziano a riconoscermi per strada! Lei non me la ricordavo, altrimenti avrei anche collegato immediatamente il suo approccio a qualcosa di riguardante l’unico contesto che ci ha messe a contatto.
Ma, in fondo, non è andata male.
Ho fatto scena muta subito dopo, ma volevo tanto chiederle “Warum?”, dato che sono curiosa e chiacchierona. È che se poi mi avesse dato una risposta troppo articolata, mi sarei persa in un fiume incomprensibile di parole e, non volevo portarmi nella fossa di mia spontanea volontà, tempo al tempo… sarà per un’altra volta :D
Mi è pure venuta la paranoia che me l’abbia chiesto con accezione negativa, della serie: “Ahhh, ma sei quella brutta stronza che…”.
Lo scoprirò solo vivendo, fa niente :D

Il bello di iniziare a prendere confidenza con i luoghi e le persone è che poi si possono tracciare i profili degli individui che si vedono, fare riflessioni. Io, dopo che mi adatto con un nuovo luogo e una nuova situazione, mi apro finalmente a ciò che mi piace tanto fare: fare analisi antropologiche di chi incontro/vedo.

In pullman, qualche giorno fa, sale un gruppetto di ragazzini appena usciti da scuola.
C’è uno slot di quattro sedili sistemati come nel treno, in modo che – a coppie – si riesca a guardarsi in faccia. Due ragazzini si siedono lì, uno davanti all’altro, con le loro borse accanto. Un altro si avvicina e fa per sedersi dove è sistemata una delle due borse, spostandola. Ma il proprietario della borsa lo guarda come per dire: “Proprietà e sedile privati, sloggia”. L’indesiderato sloggia, appunto, e i due faccia a faccia continuano a fare comunella. Un altro ragazzino siede dietro al prepotente. I numerosi altri vanno in piccionaia a fare casino, una coppia di ragazzine si isola nei due posti dietro al conducente e il pullman parte.
Il tizietto dietro al prepotente è talmente annoiato e invidiosetto del fatto che i due sono così collegati che inizia a disturbare Sua Prepotenza puntandogli il dito su una spalla. Prepotenza gli prende la mano e gliela stringe. Quello si ritrae ma riprende poco dopo, imperterrito. E Prepotenza allora non gli concede più attenzione.
Mentre i ragazzini in piccionaia fanno cagnara, inizio a ragionare sulle relazioni umane e le persone.

Ritorniamo al discorso della scuola. I nostri caratteri si delineano sin da quel momento. Anzi, sin da quando nasciamo, e tutto inizia a venir fuori quando si hanno i primi confronti.
I due ragazzini che si sono isolati, esigendo che fossero liberi anche i sedili affianco a loro – anche se in modo un po’ spocchiosetto – hanno dimostrato di essere in un grado diverso dagli altri.
Non superiore, ma – anche non capendo i loro discorsi – era evidente avessero qualcosa di cui parlare. Non si sono fermati un attimo. Uno parlava e parlava, e l’altro ascoltava e interveniva a volte. Negli atteggiamenti parevano due adulti. E, orientativamente, avevano massimo 12 anni.
Comunque, molto discreti e posati, tagliate fuori le parentesi in cui si sono guadagnati la loro nicchietta privata.
In piccionaia era un continuo cianciare. Il classico gruppetto di ragazzini che cantano la canzone del momento, che si chiedono “Quale piace a te?” “A me piace Bruno Mars” e via a canticchiare Just the way you are
Le due bambine dietro l’autista sono quelle a metà strada tra il voler stare da sole e l’essere tagliate fuori sia dal gruppo dei canticchiatori sia del duo dei prepotens. Si guardavano intorno come se il loro status non fosse voluto – come nel caso dei due ragazzini chiacchieroni ma posati – quanto subìto.
E mi sono ricordata dei tempi della scuola.
Mi chiedevo quale magia ci fosse nel trovare qualcuno con cui avere il piacere e la pretesa di isolarsi, scansando il resto del mondo con prepotenza. Mi sembrava altresì inutile stare nella ciurmaglia che cantava le canzoni del momento, troppo banale.
A volte ero una di quelle che la solitudine con l’amica la subìva, ma la maggior parte dei casi ero quella che, se si sentiva messa da parte, rompeva le palle al prepotente di turno infilandogli il dito nella spalla.
E credevo di essere una perdente. Che non avrei mai trovato quel qualcuno che mi avrebbe ascoltata parlare così come l’ascoltatore di Prepotens faceva. Pensavo che il mio stare da sola fosse un peccato, un marchio indelebile.
E poi, a sorpresa, sono cresciuta diventando Qualcosa migliore di ciò che credessi.
Senza alcun gruppo cui uniformarmi, mi sono costruita un’individualità personale, un po’ stando qui e un po’ stando lì. E sapendo diventare camaleontica, a seconda dei casi.
Questo ha fatto sì che non senta di aver bisogno di nessuno, se non di me stessa, o – a volte – dei miei cari. E che non cedo a nessun compromesso per avere qualcuno accanto, non ho ceduto quando la mia insicurezza di ragazzina poteva spingermi ad attorniarmi di mille persone inutili, e ormai non capiterà più perché non ho più l’età per cercare affermazioni effimere.
Le mie basi di forza sono altre. Sentire l’affetto degli altri è importantissimo, ma non sono cresciuta avendone la mancanza, al contrario. Se voglio amore, vero, incondizionato e anche a richiesta mi basta una telefonata a mia madre, un sms a mio padre o ai miei fratelli e loro sanno regalarmi il calore di cui ho bisogno. Ho sempre distinto l’amore vero da quello sbagliato, perché con l’esempio di amore vero ci sono cresciuta e ho imparato ad esigere lo stesso, talvolta di più, ma mai di meno!
E, mai l’avrei sospettato, ma tutto quell’eccesso di amore (che a volte sapeva anche dare la sensazione di soffocarmi), oggi è depositato lì, nella banca del mio cuore ed è sempre vivo e vegeto. Vivo di rendita, per tutto l’amore e le attenzioni ricevute e sono certa che, nel mio futuro, voglio regalare lo stesso a mio/a figlio/a.

Ho accumulato cento cose e cento riflessioni… si vede che erano tre giorni che avevo la voglia matta di scrivere, eh? :D

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